mercoledì 13 maggio 2020

L'OSSESSIONE DELL'ARTISTA PER IL SUO LAVORO

Che cos'è l'ossessione? E perché gli artisti, in particolare, ne sono colpiti?



L'OSSESSIONE DELL'ARTISTA PER IL SUO LAVORO Immagine in bianco e nero del dipinto di Michelangelo presso la Cappella Sistina: la creazione.
Il comportamento ossessivo dell'artista - La creazione Cappella Sistina - Michelangelo Buonarroti




Se per ossessione intendiamo una  "presenza persistente ed ineliminabile di un'idea o emozione" certamente la maggior parte delle persone sane, almeno una volta nella vita hanno sperimentato questo stato d'animo. 

Ancor più però, gli artisti sono particolarmente inclini a nutrire ossessioni; ed in particolare nei confronti del proprio lavoro.


Le ossessioni che possiamo considerare come "normali" (escludendo quindi quelle originate da un comportamento patologico) possono essere incluse tra le caratteristiche tipiche del genere umano, maggiormente se ciò riguarda una personalità artistica, che vuole a tutti i costi realizzare e porre in atto ciò che ha nella testa.

Le ossessioni, più in generale, possono essere un fattore individuale e specifico legato ad una certa personalità, oppure possono assumere una connotazione collettiva, come nel caso dei tifosi di una certa squadra di calcio, oppure come avvenne in passato, relativamente all'ossessione per il cosiddetto "viaggio in Italia" condivisa da tantissimi aspiranti artisti, nei confronti di Roma e di altre città italiane, ricche di storia e di arte, da cui potevano trarre insegnamento.



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LA PERSONALITA' DEGLI ARTISTI E L'ATTEGGIAMENTO VERSO IL LAVORO


La personalità artistica è profondamente cambiata nel corso della storia dell'arte. In Italia un nuovo tipo di artista compare già agli inizi del Trecento.

Si tratta di un artista provvisto di una solida educazione, ricco di interessi culturali e con una elevata posizione sociale, tant'è che nei documenti ed iscrizioni anche molto antichi, compaiono epiteti quali "doctus", "expertus" oppure "probus", "sapiens", "artificiosus" e tanti altri simili.

Nel Medioevo, però, nonostante questo, la figura dell'artista era ancora sostanzialmente equiparata a quella dell'artigiano, e come quest'ultimo, anche l'artista sottostava a regole rigide circa la sua formazione, gli orari di lavoro in bottega, i giorni di vacanza, che già in quel tempo, erano regolati per legge.

Ad un certo punto però, quando i controlli corporativi cominciarono ad allentarsi, si notò  un sostanziale cambiamento dell'atteggiamento degli artisti nei confronti del loro lavoro.

Anziché essere soggetto alla routine di bottega, l'artista comincia a lavorare per conto proprio, assumendo atteggiamenti conformi alla sua libertà, sviluppando contestualmente uno straordinario zelo per lo studio e il lavoro.

Le maggiori informazioni, a questo riguardo, ci pervengono dagli scritti del Vasari che si riferiscono agli artisti del Quattrocento e del Cinquecento; ed è proprio da queste fonti che notiamo lo svilupparsi, da parte loro di una vera e propria forma di ossessione.

Una delle conseguenze più evidenti che emerge dell'ossessione degli artisti per il proprio lavoro è, tra le altre, il disinteresse per altri aspetti della vita quali gli abiti, la pulizia, il cibo, la famiglia e tanti altri aspetti del viver civile.

Tutto ciò che è estraneo all'oggetto della fissazione, passa in secondo piano, e il libro "Le vite" del Vasari è pieno di aneddoti a questo riguardo.

Ad esempio al tempo del Vasari si ricordava che il grande pittore Masaccio (1401-28)

"fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che, avendo fisso tutto l'animo e la volontà alle cose dell'arte sola, si curava poco di sé e manco d'altrui. E perché e' non volle  pensar giammai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e, non che altro, al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da' suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo; per Tommaso (che era il suo nome) fu da tutti detto Masaccio..."

Vediamo quindi, attraverso diverse testimonianze dell'epoca, come gli artisti percepivano e vivevano sulla propria pelle, l'amore e la dedizione per l'arte.




L'OSSESSIONE NELLO STUDIO, L'ANSIA DI CONOSCENZA E DI APPRENDIMENTO




L'ossessione per il proprio lavoro d'artista e la volontà di acquisire conoscenza e maestria è testimoniata da numerosi racconti riferiti ai più grandi artisti del passato (ma le stesse caratteristiche sono state poi riscontrate anche in artisti di epoche successive).

A tal proposito sembra che Paolo Uccello (1397-1475) allievo del Ghiberti e amico di Donatello, grandissimo pittore particolarmente incline alla sperimentazione, da alcune fonti dell'epoca ci viene descritto come persona che :

"senza intermettere mai tempo alcuno, dietro sempre alle cose dell'arte più difficili. Per le quali considerazioni si ridusse a starsi solo e quasi salvatico, senza molte pratiche, le settimane ed i mesi in casa, senza lasciarsi vedere."


Un'altra ossessione particolarmente diffusa tra gli artisti dell'epoca del Vasari, e di cui egli ci lascia testimonianza, fu quella dello studio dell'anatomia umana, e che all'epoca si svolgeva sezionando e studiando i cadaveri.

Tra gli artisti particolarmente ossessionati da questo tipo di studi, ci fu anche un suo concittadino e artista, di nome Bartolomeo Torri, che fu talmente avvinto (e pertanto ossessionato) dallo studio dell' anatomia umana, al punto tale che, un conoscente comune del Torri e del Vasari, raccontò di essere stato costretto a metterlo alla porta:

"non per altro, che per le sporcherie della notomia; perciocché teneva tanto nelle stanze e sotto il letto membra e pezzi d'uomini, che ammorbavano la casa. Oltre ciò,  trascurando costui la vita sua, e pensando che lo stare come filosofaccio, sporco e senza regola di vivere, e fuggendo la conversazione degli uomini, fusse la via da farsi grande e immortale, si condusse male affatto."

Purtroppo questo artista morì difatti, ancora giovane.

Un altro episodio che ci viene tramandato, e che riguarda l'ossessione per gli studi di anatomia umana, è quello che vede protagonista il pittore e architetto Ludovico Gigoli (1559-1613) che all'età di 13 anni, trasferitosi a Firenze dalla natia Empoli, entrò nello studio di Alessandro Allori

Il biografo Baldinucci ne parla in modo particolareggiato:

"Aveva Alessandro Allori alcune stanze per entro i chiostri della Venerabile Basilica di San Lorenzo, ove come studioso che egli era della Notomia, introduceva del continuo uomini cadaveri, quelli corticando e tagliando a suo bisogno, ed al giovanetto Cigoli, non so se per far compagnia al maestro o pure per appagare suo gran genio in questi studi tanto necessari all'arte sua, veniva fatto il passare i giorni, e talora l'intere notti, fra quelle malinconiche operazioni; quando non potendo, a lungo andare, sua tenera età fa riparo alla violenza che facevano a' suoi sensi gli odori corrotti, e gli spaventosi aspetti di quei morti, finalmente gli fu forza di cadere sotto il peso d'una mala sanità, che oltre a più altri travagli che gli apportava, non solo gl'impediva l'uso della memoria, ma di quando in quando facevalo patire accidenti di mal caduco, tanto che egli fu obbligato da' medici, a fine di campare sua vita, ad abbandonare Firenze."

Per l'ossessione e l'ansia di impadronirsi di nozioni anatomiche, considerate fondamentali per l'apprendistato di un artista, essi giunsero ad azioni veramente estreme, che al giorno d'oggi ci parrebbero inconcepibili.

La Chiesa era di fatto contraria a queste pratiche di sezione e studio dei cadaveri, ma Condivi, il biografo di Michelangelo, riferisce però che, ciononostante, il priore di Santo Stefano autorizzò in segreto, l'allora giovane artista, a studiare i corpi in una stanza appartata del convento. 

Anche Leonardo, i cui meravigliosi disegni anatomici son ben noti a tutti, sezionò, per realizzarli, non meno di una trentina di cadaveri.

Di tutti i suoi numerosi studi e disegni, sono giunti sino a noi 779 tavole di anatomia umana da lui realizzate, di una bellezza e precisione impressionante.

Durante tutto il periodo rinascimentale, lo studio accanito e (a volte) ossessivo del corpo umano rimase un punto d'onore professionale per l'artista di quell'epoca, che in tal modo dimostrava tutta la sua perizia e dedizione artistica.

Il pittore olandese Hendrik Goltzius (1558-1617) forse fu tra quelli che, più di tutti, sopportavano con ossessiva dedizione gli studi di anatomia sui cadaveri; di lui abbiamo la seguente testimonianza sul suo periodo di apprendistato in Italia:

"Era in questi tempi la misera Italia oppressa dalla gran carestia de' viveri e con essa da una gran mortalità, che però erano, per così dire, coperte le strade di cadaveri, di altri morti di fame, ed altri colpiti da malore, e il Goltizio si trovò più volte a stare a disegnare in luoghi, dove per la puzza de' corpi morti fu per isvenire, tanto era il fervore, col quale e' si messe a fare i suoi studi."


LA DEDIZIONE OSSESSIVA AL LAVORO D'ARTISTA




Il Vasari, racconta molti aneddoti riferiti all'ossessione per il proprio lavoro da parte degli artisti, spesso in relazione a pittori soprattutto dell'area toscana, quali  ad esempio, il Cristofano Gherardi (1508-66), allievo di Rosso Fiorentino e che entrò poi nello studio del Vasari, dove lavorò per tutta la sua vita.

Ricorda il Vasari:

"non era la mattina a fatica giorno, che Cristofano era comparso sul lavoro, del quale aveva tanta cura e tanto gli dilettava, che molte volte non si forniva di vestire per andare via; e talvolta, anzi spesso, avvenne che si mise per la fretta un paio di scarpe (le quali tutte teneva sotto il letto) che non erano compagne, ma di due ragioni; ed il più delle volte aveva la cappa a rovescio e la capperuccia dentro."

Jacopo Palma (1544-1628)  detto il giovane, contemporaneo di Tiziano e Michelangelo, fu anch'egli un lavoratore indefesso, talmente attaccato al suo lavoro e così ansioso di possedere le capacità artistiche che desiderava, da non lasciarsi distogliere dall'arte nemmeno da vicende legate agli affetti famigliari; si narra infatti che:
"Fu di corpo sanissimo, e visse sempre lontano dalle cure e dalle passioni, che riducono l'huomo in breve al sepolcro, non havendo egli altro pensiero, che l'operare; onde nello stesso tempo ancora, che veniva seppellita sua moglie, si pose a dipingere, e ritornate le donne dal funerale, dimandò loro, se l'havevano bene accomodata."


Carlo Maratta (1625-1713) pittore caposcuola della pittura romana di fine Seicento, ebbe studi appassionati in gioventù talmente intensi:
"ch'ei non istudiasse l'opere sempre commendabili di Raffaelle, in quelle camere, ove essendo il primo a venire, era l'ultimo a partirne senza apprezzare caldo e gelo, e l'eccesso delle stagioni."


Niccolò Cassana (1659-1713) detto Niccoletto, pittore genovese, operativo in Inghilterra, fu talmente ossessionato dal suo lavoro e dalla buona riuscita delle sue opere che, ci viene raccontato questo aneddoto circa il suo modo di lavorare e di concepire l'opera da lui prodotta: 
"Dipingendo s'internava talmente nel suo lavorio che neppur udiva chi l'interrogava; e quando le sue tinte non gli riuscivano vivaci, e sanguigne, conforme avrebbe voluto; divenuto quasi farnetico, si sdraiava per terra, e gridava: 'Ci voglio dello spirito, in quella figura: voglio che parli, e che si muova; e voglio che per quelle carni vi circoli il sangue'. Quando insomma scorgeva mancarvi, dicea volerverlo, poi ripigliati i pennelli, correggeva, rifaceva, aggiungeva giusta il bisogno; e così andava o mostrandosi contento, o dando in ismanie maggiori. Tanto era intensa la sua premura di riuscir più che bene."


Tutte queste testimonianze ci fanno capire con quale dedizione (al punto di sfociare in una vera e propria ossessione) gli artisti si applicano da sempre, allo studio e nel lavoro di produzione delle proprie opere. 

Questi atteggiamenti non sono comunque una prerogativa degli artisti del passato; le testimonianze prese in esame riguardano prevalentemente gli artisti del Quattro-Cinquecento sino al 1700 circa, ma i comportamenti di personalità artistiche, successivi a queste date, non sono certo cambiati.

Abbiamo ampia testimonianza dell'ossessione verso il suo lavoro da parte di Vincent Van Gogh (1853-1890), attraverso le sue numerose lettere, da cui si evince chiaramente la forte volontà di riuscita e lo stato di necessità con cui egli si applicava alla pittura.

Numerosi furono anche gli scritti su questo tema, di Eugène Delacroix, tratti dal suo diario; che a loro volta evidenziano un aspetto della sua personalità che ha connotazioni ossessive nei confronti del lavoro artistico e della pittura in particolare;  egli scrive il 9 ottobre del 1852:
"La soddisfazione dell'uomo che ha lavorato ed impiegato convenientemente la sua giornata è immensa. Quando io sono in questa condizione godo deliziosamente del riposo e dei minimi passatempi. Posso persino, senza alcun rammarico, stare in compagnia della gente più noiosa. Il ricordo dell'opera compiuta mi torna alla mente e mi preserva dalla noia e dalla tristezza."

Purtroppo invece, quando si è insoddisfatti di ciò che si ha prodotto o di come si è svolta la giornata di lavoro, avviene l'esatto contrario rispetto a quanto descritto così bene da Delacroix. 

Chi si occupa di arte, penso abbia provato almeno una volta nella vita queste sensazioni! 




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Pure la testimonianza di Lord Byron è rappresentativa dell'ossessione che spesso attanaglia l'artista; egli affermò che " Il bisogno di scrivere ribolle in me come una tortura dalla quale devo liberarmi, ma non è mai un piacere, anzi; il comporre è per me un travaglio violento..." al quale evidentemente, non riesce a sottrarsi. Scrivere diventa quindi una necessità, un qualcosa di ossessivo da assecondare e a cui obbedire.

Arrivando in epoca recente, concludo con una frase che appartiene ad un grande artista operativo nella prima metà del 1900: Edvard Munch, che nella sua vita, fu altrettanto ossessivo,  verso il proprio lavoro, nonché accanitamente dedito alla sua arte, così come lo furono gli altri grandi artisti sin qui esaminati. 

Nel suo diario scrisse questa emblematica affermazione:
"Per me, dipingere è come essere ammalato o intossicato - una malattia dalla quale non vorrei mi si guarisse, un'intossicazione di cui non posso fare a meno."

Ritengo che chiunque sia un artista o si senta tale, non possa che ritrovarsi, almeno in parte, in quanto afferma Much, così come possa trovare qualche traccia di sé negli atteggiamenti  degli artisti di tutti i tempi, che abbiamo descritto.



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Bibliografia

Nati sotto Saturno - La figura dell'artista dall'antichità alla Rivoluzione francese. Rudolf e Margot Wittkover - Einaudi - Compra il libro "Nati sotto Saturno" su Amazon



Eugène Delacorix - Diario 1822-1863 (A cura di Lalla Romano) - Carte d'artisti 49 - Abscondita  - Compra il libro "Eugéne Delacroix Diario"


Edvard Munch Frammenti sull'arte (A cura di Mario Alessandrini) - Carte d'artisti 93 - Abscondita - Compra il libro "Edvard Munch Frammenti sull'arte"





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