Gli ultimi pigmenti che esaminiamo, traendo preziose informazioni dal trattato di Cennino Cennini sono il Bianco, il Nero e il color Oro.
Ne Il libro dell'arte, l'autore, parimenti agli altri colori della tavolozza, spiega agli artisti del suo tempo, la provenienza del pigmento bianco, di quello nero e aggiunge qualche nota sul colore oro, descrivendo le loro caratteristiche e soprattutto dando consigli per come utilizzarli in pittura.
Tubi di colore ad olio - vari tipi di bianco |
IL LIBRO DELL'ARTE DI CENNINO CENNINI
Il testo di Cennino Cennini scritto intorno al 1398, fu dimenticato nel giro di qualche decennio, per poi essere riscoperto un secolo e mezzo dopo, in occasione della seconda edizione delle Vite del Vasari.
L'area di diffusione del trattato fu la Toscana, e non il Veneto dove invece il Libro dell'arte fu scritto.
Probabilmente ciò fu determinato dal ritorno di Cennino nella sua terra di origine, forse perché venne a mancare il supporto della committenza di Padova, dove Cennino si era trasferito e dove iniziò la stesura dell' opera.
Una volta tornato in Toscana, una nuova committenza e forse una rinnovata energia, fece in modo che Cennino portasse a compimento il manoscritto, diffondendolo pertanto nell'ambito della sua regione.
Nel cinquecento, poi, con la spinta data al manoscritto dalle Vite del Vasari, il trattato venne riscoperto ed iniziò ad essere considerato come un libro da studiare da parte dei letterati ed eruditi del tempo.
Passiamo quindi all'analisi dei tre colori.
IL COLORE BIANCO: LA BIACCA
La biacca è il pigmento bianco più utilizzato sin dai tempi antichi nella pittura da cavalletto, fino a che nel secolo XVIII fu scoperto il bianco di zinco e nel XX secolo il bianco di titanio.
La biacca, si trova in natura come idrocerussite, che è un minerale piuttosto raro.
Il pigmento bianco di biacca è uno dei più antichi pigmenti ottenuti artificialmente dall'uomo ed è costituito da carbonato basico di piombo.
La diffusione di questo pigmento bianco in antichità era molto ampia, testimoniata dal fatto che troviamo spiegato il metodo per la sua fabbricazione nei più antichi documenti a noi pervenuti.
I metodi usati in antichità erano due:
- Il primo prevedeva l'esposizione di lamine di piombo a vapore di aceto per un periodo di diverse settimane, in atmosfera ricca di anidride carbonica, prodotta dalla fermentazione delle vinacce, del letame o di cortecce di quercia. Il calore prodotto dalla fermentazione e la presenza dell'anidride carbonica, favorivano la formazione del carbonato di piombo.
- Il secondo metodo consisteva invece nell'immersione del piombo nell'aceto che però, anziché formare la carbonatazione come con il metodo precedente, produceva l'acetato di piombo che si poteva convertire in biacca solo attraverso un ulteriore processo di arrostimento all'aria.
In epoca moderna, il processo di produzione del colore bianco di biacca avviene attraverso l'evoluzione del primo metodo indicato.
Il pigmento bianco della biacca è molto coprente, e Cennino Cennini scrive:
" Macinasi con acqua chiara.Sofferta ogni tempera"
che significa che questo bianco sopporta ogni tipo di legante, e inoltre unito a oli siccativi, ne accelera l'essiccamento.
Un impiego in cui la biacca era inoltre utilizzata (soprattutto nei paesi del Nord europa) era come base per l'imprimitura su cui dipingere, insieme al gesso e carbonato di calcio.
Il punto dolente di questo bianco è però la sua scarsa stabilità nel caso in cui venga utilizzato nella pittura in affresco, come pure nei disegni su carta. Con lo scorrere del tempo il colore bianco annerisce, trasformandosi in solfuro o biossido di piombo.
In passato, forse per il costo piuttosto basso di questo pigmento, molti pittori sorvolavano su questo aspetto negativo, utilizzando la biacca ampiamente. Per fortuna però, è possibile la riconversione del colore annerito, mediante un intervento di restauro, utilizzando una soluzione acetica di perossido di idrogeno.
Cennino ovviamente, nel suo scritto, mette in guardia i pittori, sconsigliando soprattutto l'utilizzo della biacca nelle miscele con colori rameici quali il verderame (verdigris - vedi l'articolo dedicato al colore verde) anche se poi, in epoca moderna, studi effettuati su campioni di questi colori non hanno dimostrato alterazioni significative.
BIANCO DI SANGIOVANNI (Bianco di calce)
Questo bianco era utilizzato sia come colore bianco puro, che come schiarente nell'ottenimento di altre tinte.
Il nome bianco di Sangiovanni fu attribuito al pigmento in onore del patrono di Firenze, ed è l'unico colore che Cennino Cennini consiglia per l'uso in pittura murale, al posto della biacca, che come detto, col tempo annerisce.
Il bianco di Sangiovanni, come descrive Cennino, è costituito da una parte di carbonato di calcio, che si forma per lenta carbonatazione all'aria della calce spenta (cioè un processo chimico con il quale una sostanza, in presenza di anidride carbonica, origina la formazione di carbonati).
La conversione della calce in bianco di Sangiovanni dipende dal tempo di esposizione all'aria durante il processo di fabbricazione del pigmento.
Il pigmento bianco appartiene ad una famiglia di diversi materiali a base di carbonato di calcio, ed è utilizzato in campo artistico come colore o nella formazione di altri supporti pittorici.
Tra i colori abbiamo, ad esempio, le crete calcaree (leggi qui l'articolo sulle crete e le ocre) la calcite o la polvere di marmo (anch'essa utilizzata in affresco).
Nella pittura in affresco, il bianco di Sangiovanni è pienamente compatibile con l'intonaco a base di calce (dato che da lì proviene) e che a sua volta, asciugandosi subisce lo stesso processo di carbonatazione.
Diversamente dalla biacca, questo pigmento bianco ha un'ottima resistenza alla luce ed è ben compatibile con altri pigmenti (ad esclusione di quelli sensibili agli alcali); per contro però è un pigmento che non tollera le componenti acide, che possono provocare ad esempio nella pittura murale, danni notevoli (un effetto nefando ha l'inquinamento atmosferico sugli affreschi proprio per le componenti di acidità che contiene).
Il peggior effetto che un affresco dipinto con pigmenti quali il bianco di Sangiovanni può subire, è la solfatazione, cioè la trasformazione del carbonato di calcio in solfato di calcio che, nel sostituirsi al carbonato occuperà un maggior volume, provocando in tal modo il distacco della pittura.
NERO
Si tratta del nerofumo, ottenuto bruciando olio di lino, e di due neri di origine vegetale, ricavati dalla vite e da gusci di mandorle o noccioli di pesche.
Cennino li classifica in base alla loro consistenza, mentre per quanto riguarda la qualità del colore nero ottenuto, consiglia tra i tre, il nerofumo sottolineandone però il maggior costo:
"è perfettissimo e sottile negro, ma è di più chosto."Stranamente, Cennino non parla in nessun punto del libro, del pigmento nero ottenuto da ossa di animali, pur essendo un colore conosciuto sin dall'epoca romana e medioevale.
Questo perché, sembra che in area italiana e bizantina siano stati utilizzati più diffusamente il colore nerofumo e il colore nero ricavato da carbone di origine vegetale che non quello prodotto dalle ossa.
Questo disinteresse di Cennino per il colore nero d'ossa di animali, sembra inoltre trovare riscontro da analisi effettuate nel corso di studi scientifici su dipinti italiani del Trecento, condotte dalla National Gallery, che hanno accertato l'assenza del pigmento nero d'ossa; fatta eccezione per una pala di Nardo di Cione, in cui il pigmento nero di origine animale è stato trovato nella composizione di un mordente per doratura, e in un'opera di Simone Martini.
In ogni caso, i pigmenti neri sia di origine vegetale che animale, erano conosciuti sin dall'antichità e li troviamo descritti con il nome di atramentum negli scritti di Vitruvio.
I pigmenti neri erano utilizzati, oltre che in pittura, anche per la produzione di inchiostri:
Per quanto riguarda la loro composizione chimica possiamo notare che:
- Il pigmento nerofumo è essenzialmente un carbonio amorfo costituito da particelle piccolissime.
- il nero di vite invece è costituito da particelle carboniose più grosse, che conservano spesso la struttura del materiale di partenza.
Il pigmento nero per disegnare:
- oltre a questi pigmenti neri utilizzati in pittura, ci sono anche i carboncini per disegnare ricavati dalla carbonizzazione di rametti di salice.
- Cennino descrive inoltre la "pria nera che vien dal Piemonte" che in base agli elementi contenuti nel trattato, fa supporre si tratti di un minerale ricco di grafite microcristallina simile agli scisti grafitici della Val Chisone.
L' ORO - PORPORINA (Oro musivo)
Cennino ne sconsiglia l'utilizzo in pittura, limitandone l'uso solo per la miniatura, e ciò a causa dell'incompatibilità dell'oro con il mercurio, contenuto nel processo di sintesi.
E' proprio parlando di questo aspetto che il Cennini inserisce, nel suo trattato, la sola e unica descrizione "alchemica" presente nell' intera opera.
L'oro musivo è costituito da solfuro stannico, che era prodotto nel Medioevo tramite un elaborato procedimento - e che viene descritto nel capitolo CLIX - ma che era possibile trovare anche in altri trattati della stessa epoca.
L'oro musivo veniva utilizzato soprattutto nella miniatura di codici oppure come sostituto dell'oro negli sfondi (nonostante il suo colore in realtà si avvicinava di più alla tinta del bronzo).
Il nome porporina deriva molto probabilmente dall'uso che se ne faceva nella scrittura in oro nei codici purpurei.
Fonte Bibliografica: Cennino Cennino - Il libro dell'arte, a cura di Fabio Frezzato - Neri Pozza I colibrì.
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www.cinziabusto.com
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