domenica 8 settembre 2019

NEURONI SPECCHIO, IL CERVELLO-ARTISTA


Cosa sono i neuroni specchio, e in quale modo intervengono nel processo di fruizione dell'opera d'arte? 

Neuroni specchio, il cervello-artista

L’artista, lo scienziato e l’uomo comune possiedono questo meraviglioso strumento, che è il cervello, che ci permette di muoverci nel mondo, di porre in essere le strategie necessarie per vivere e progredire, nonché di poter fruire della bellezza naturale come di quella artistica.
Alla base di questa capacità troviamo i neuroni specchio, scoperti da un gruppo di neuroscienziati dell’Università di Parma, che affiancati ai neuroni cosiddetti canonici, ci permettono di “sentire” ed esperire nel nostro profondo l’opera d’arte. Non si tratta però semplicemente di capire l’arte, ma di rivivere su di sé il gesto dell’artista, riprovando e ricostruendo, ciascuno a modo suo, l’emozione da lui provata, ripercorrendo gli stessi gesti che mossero le mani dell’artista al momento della creazione dell’opera d’arte.


La creazione da parte dell’uomo dello spazio noi-centrico - scoperto e definito da Vittorio Gallese come un gruppo di neuroni che presiede alla formazione dell’Io individuale -  avviene attraverso l’attività dei neuroni specchio.
Studi compiuti mediante indagini di neuroimaging hanno dimostrato la presenza di questa tipologia di neuroni, inizialmente individuati attraverso ricerche condotte sulle scimmie, anche nell’ essere umano[1], e la loro natura senso-motoria[2].
L’area specchio del nostro cervello comprende l’area di Broca[3], parti della corteccia premotoria e parti del lobo parietale inferiore, in cui i neuroni visuo-motori si attivano sia quando l’azione viene effettivamente compiuta dal soggetto, sia quando questa stessa azione è solo osservata mentre è un altro a compierla. Ci sarebbero i neuroni specchio anche all’origine della nostra risposta empatica di fronte all’opera d’arte, dato che chi osserva recepisce da essa il gesto creativo di chi l’ha prodotta. Scrive V. Gallese: “Insieme a David Freedberg ho ipotizzato che, anche quando l’opera d’arte non ha alcun contenuto direttamente e analogicamente mappabile in termini di azioni, emozioni o sensazioni, in quanto priva di un riconoscibile contenuto formale (pensiamo a un’opera di Lucio Fontana o Jackson Pollock), i gesti dell’artista nella produzione dell’opera d’arte inducono il coinvolgimento empatico dell’osservatore, attivando in modalità di simulazione il programma motorio che corrisponde al gesto evocato nel tratto o segno artistico”[4].

Fig.  - La gestualità in Jackson Pollock 

NEURONI SPECCHIO IL CERVELLO-ARTISTA

Apollonio di Tiana, nel I secolo a.c parlando di pittura con il suo discepolo Damis di Ninive  concluse  che “la facoltà mimetica proviene all’uomo dalla natura, la capacità pittorica dall’arte: e lo stesso si potrebbe dire anche della scultura”. L’imitazione viene da Apollonio distinta dapprima nell’ambito della natura attribuendo il riconoscimento della forma dei corpi attraverso una specifica attività intellettuale, attraverso la quale l’uomo individua le “forme concrete” indipendenti da qualsiasi regola di proiezione geometrica che parta da corpi esistenti, la seconda artificiale o artistica rimanda alla riproduzione dell’apparenza dei corpi attraverso l’arte visiva: l’arte sarebbe dunque l’esito di una intuizione attraverso l’esercizio corporeo (della mano) di una facoltà mimetica di natura intellettuale. 

In che modo quindi si coniugano l’occhio che osserva e la mano che dipinge la tela

Adolf von Hildebrand scriveva nel 1893, che il bambino sviluppa la propria rappresentazione visiva dello spazio attraverso la mobilità di gambe e braccia e attraverso l’occhio il quale, pur incassato nella testa, è un “arto mobile”[5]. La mano è dunque associata all’occhio e ne è il naturale prolungamento. L’ipotesi che l’uomo operi ed agisca attraverso una vista che è “corporale” fu oggetto di studio da parte del gruppo di neuroscienziati di Parma, i quali, proprio in quell’occasione, giunsero a scoprire i neuroni specchio, la cui attività è alla base della cognizione, dell’intenzione, dell’azione e della rappresentazione oltre che alla base dell’interazione sociale.

Nel corso delle loro ricerche vennero individuati due tipi di neuroni: i neuroni canonici che si attivano durante l’esecuzione di un’azione compiuta in prima persona e durante l’osservazione di un oggetto che può partecipare a quella stessa azione; e i cosiddetti neuroni specchio che invece si attivano sia quando il soggetto sta compiendo una certa azione e sia quando vede quella stessa azione compiuta da un altro soggetto. I neuroni specchio si distinguono inoltre in “congruenti in senso stretto” per i quali l’azione eseguita e quella osservata devono essere identiche, e “congruenti in senso lato” per i quali le due azioni non devono essere identiche ma devono avere uno scopo affine.

La presenza nell’essere umano dei neuroni specchio porta alla conclusione che le reazioni umane all’ambiente non dipendono in prima istanza dalla stimolazione sensoriale esterna, ma si tratta piuttosto di forme di immaginazione attraverso le quali il soggetto simula un’intenzione associata all’azione che sta osservando. Fa “come se” fosse lui ad agire, ma la simulazione di azioni non è l’imitazione meccanica del neonato, né un’imitazione consapevole, bensì una rappresentazione mentale di programmi motori senza però la produzione di un movimento effettivo.


L'ARTE E' UNO SCENARIO

Questa scoperta si ritrova nella concezione del neurologo Vilayanur S. Ramachandran, anch’esso studioso di neuroestetica, secondo il quale l’arte è uno scenario concreto in cui simulare virtualmente azioni reali. Il neurologo indaga la produzione artistica sulla base di quanto essa propone all’occhio di inusuale, innovativo e sconosciuto, giungendo ad affermare che “gli artisti si valgono coscientemente o incoscientemente di alcune regole o principi, che noi chiamiamo leggi, per solleticare l’area visiva del cervello”[6]. Un elemento particolarmente importante per la neuroestetica riguarda il carattere funzionale dei neuroni specchio. Una delle differenze riscontrate dai ricercatori di Parma, sul sistema specchio, nella scimmia rispetto all’uomo, è che nella prima il neurone specchio, scarica solo se l’animale prevede con certezza che il movimento osservato è finalizzato ad un’azione; mentre nell’uomo, lo stesso neurone scarica anche nel caso in cui egli osservi un’azione mimata come ad esempio giocare a palla senza la palla, afferrare una tazza senza la tazza, e senza che vi sia alcune verbalizzazione. Non scarica però nel caso la stessa azione sia compiuta in modo virtuale, attraverso ad esempio un disegno animato. Da ciò si evince che l’uomo reagisce di fronte ad azioni di fatto ma anche a fronte di azioni ipoteticamente possibili. Marc Jeannerod fornisce una spiegazione plausibile a questa attività simulatoria che risponde ad uno scopo ma non è necessariamente finalizzata.

In The representing brain: neural correlates of motion intention and imagery, il neuroscienziato ipotizza l’esistenza di un’immagine di tipo motorio dell’atto osservato, funzionale alla preparazione motoria, secondo un processo di apprendimento per imitazione[7]. Tale interpretazione corrisponde alla concezione della mimesi proposta da Aristotele nella Poetica, secondo la quale l’imitazione è imitazione di azioni nonché via d’accesso alla conoscenza[8].

IL CARATTERE IMITATIVO DEI NEURONI SPECCHIO

Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia, in So quel che fai, il cervello che agisce e i neuroni specchio,  ritengono che i neuroni specchio non siano legati a comportamenti di carattere imitativo, ma alla comprensione di eventi motori altrui e pertanto dell’altrui intenzione partendo da ciò che si sente dentro di sé; non è un capire razionale e quindi un successivo partecipare alla gioia, al dolore o altro, ma è un vero e proprio “sentire”; provare cioè davvero gioia o davvero dolore; in sostanza esperire su di sé la medesima esperienza vissuta dall’altro.

La possibilità latente contenuta nell’azione osservata, è un principio estetico. Così Chiara Cappelletti in Neuroestetica L’arte del cervello[9], parlando della fruizione di un’opera teatrale, spiega come lo spettatore trasponga su di sé ciò che vede mettere in scena. “Mi posso alzare o lasciarmi cadere, scuotere il capo o stringere i pugni. Qui abbiamo davanti momenti eseguiti in modo visibile. Ma finché si tratta di movimenti completamente imitativi non si ha nulla a che fare con il terreno estetico. Invece è un caso molto comune che il soggetto che contempla esteticamente prenda parte al movimento visto per accenni. Così a teatro lo spettatore può prender parte con un lieve accenno ad un severo erigersi o a un danzare ritmico. Chi ha visto sul palcoscenico l’ottima attrice Gutheil-Schroder nel ruolo di Carmen avrà fatto l’esperienza su sé stesso di aver accompagnato alcuni dei suoi movimenti caratteristici con reali sensazioni di movimento, di tensione ed estensione, che rievocano quei movimenti alludendo alla loro traccia. […] Ma anche questo prender parte per accenni al movimento visto non è necessario. In moltissimi casi ci si ferma al semplice atteggiamento al movimento, alle semplici sensazioni di tensione senza alcuna traccia percepibile di movimento”[10].

Questo scritto, che rivela la puntualità con cui agli inizi del secolo Johannes Volkelt esprime la sua acuta analisi di ciò che accade durante l’osservazione di un’opera teatrale, trova conferma nelle più moderne analisi di neuroimaging svolte da Beatriz Calvo-Merino e  Ivar Hagendoorn, che attualmente, insieme a Gallese,  sono tra i maggiori studiosi di neuroestetica teatrale. Il principio di rispecchiamento che intercorre tra spettatore ed attore durante la rappresentazione teatrale è stato quindi oggetto di indagine con imaging al fine di evidenziare se, nel momento in cui osserviamo una certa azione compiuta da altri, il nostro cervello simula la stessa azione. Calvo-Merino e colleghi hanno registrato le reazioni cerebrali in soggetti cui venivano presentati video di ballerini che eseguivano passi di capoeira; questi soggetti, alcuni dei quali ballerini di danza classica, altri della stessa capoeira, altri totalmente estranei all’ambiente della danza. Emerse che in coloro che erano danzatori di capoeira i neuroni specchio si attivavano in misura notevolmente maggiore rispetto alle altre due categorie. “Mentre tutti i soggetti del nostro studio vedevano le stesse azioni, le aree specchio dei loro cervelli rispondevano con una certa differenza a seconda che loro potessero o meno fare quelle azioni”[11].

Leggi anche : La seconda vista. L'artista come creatore di una realtà autonoma in competizione con la natura.

LO SCHEMA CONOSCITIVO "COME SE"

A differenza di altre scoperte neuroscientifiche, anche se altrettanto importanti per gli studi di estetica, l’aver compreso l’esistenza dei neuroni specchio, ha indotto a ripensare la concezione in merito al primo stadio della conoscenza; il “come se” risulta essere uno schema conoscitivo incarnato.

David Freedberg e Vittorio Gallese, storico dell’arte il primo e neuroscienziato il secondo, svolgono un lavoro a quattro mani. Freedberg aveva già osservato nel 2004, parlando del lavoro di Robert Capa Morte di un miliziano repubblicano, afferma “ci sembra di essere noi a cadere, in disequilibrio e, ancor di più, provando invano a tenerci dritti […] I nostri corpi le rispondono come se quel corpo fosse in qualche modo il nostro. Per un istante siamo rimasti con una lieve sensazione di ansia e disperazione. Il coinvolgimento fisico con un’immagine come questa, l’empatia fisica, si traduce molto rapidamente in emozione”[12].

NEURONI SPECCHIO IL CERVELLO ARTISTA


Fig. - Robert Capa,  Morte di un miliziano repubblicano, 1936.


L’immagine ha il potere di far ricordare, rianimare, attualizzare posture emotive personali, e nell’ambito della fruizione estetica, così come afferma Volkelt, lo fa per accenni sperimentando comportamenti possibili[13]. Freedberg e Gallese approfondendo l’analisi di questo tipo di risposta estetica, concludono che l’attivazione dei meccanismi specchio sia cruciale per la fruizione delle opere d’arte, e che  questi meccanismi si attivino non solo dinnanzi a opere figurative ma anche astratte come ad esempio i dripping di Pollock, attraverso i quali “gli spettatori fanno spesso esperienza di un senso di coinvolgimento corporeo con i movimenti che sono implicati dalle tracce fisiche delle azioni creative di chi ha prodotto il lavoro” così come pure nel caso dei tagli di Fontana. Due sono a loro avviso le  relazioni coinvolte nella fruizione di un’opera pittorica: la prima “tra i sentimenti empatici incorporati nell’osservatore e il contenuto rappresentativo dell’opera in termini di azioni, intenzioni, oggetti, emozioni e sensazioni” e la seconda “tra i sentimenti empatici incorporati nell’osservatore e la qualità dell’opera in termini di tracce visibili dei gesti creativi dell’artista”[14]



IL GESTO DELL'ARTISTA RIVISSUTO DALL'OSSERVATORE


Il gesto motorio con cui l’artista ha realizzato la sua opera, è in grado di sollecitare il sistema specchio del fruitore: i segni sulla tela o le impronte sul materiale scultoreo “sono le tracce visibili di movimenti orientati allo scopo; sono perciò capaci di attivare la rispettiva area motoria nel cervello dell’osservatore”[15]. Dall’osservazione di Gallese e Freedberg appare quindi chiaro che è il gesto motorio, compiuto dall’artista nel realizzare la sua opera, percepito attraverso l’osservazione ad essere rivissuto dal fruitore, mediante l’attivazione dei neuroni specchio. I due autori sottolineano però che l’attivazione dei neuroni specchio, non è di per sé sufficiente ai fini della valutazione delle opere d’arte, bensì che essa permette di comprendere “il sostrato neuronale per le reazioni empatiche alle opere d’arte”[16].

Da ciò si evince che non è possibile giudicare un’opera d’arte basandosi esclusivamente sulla risposta neuronale dei neuroni specchio, escludendo invece considerazioni di natura storico-culturale dell’arte – affermano Gallese e Freedberg in aperta contrapposizione al pensiero di Arthur C. Danto[17] – certo è però, che l’opera raggiunge il suo risultato se l’artista usa, consapevolmente o meno, il segno del corpo per sollecitare le risposte fruitive. 

La concezione di Freedberg e Gallese può essere letta come esplicativa per la comprensione della differenza tra astrazione e figurazione non rispetto al grado di somiglianza iconografica e percettiva, ma come stilizzazione di ciò che è un movimento virtuale figurato. Quando qualcuno guarda un quadro “vi è una ri-creazione nel senso che lo spettatore non rimane passivo davanti al dipinto, Quando incontra l’opera proietta su di essa il proprio ‘stato interiore, fissa la sua attenzione prima su una parte del dipinto poi su un’altra, attribuisce a una certa figura un significato, a un certo oggetto un valore simbolico, arriva al punto di attribuire ‘stati mentali’, emozioni, intenzioni ai personaggi che entrano nella composizione”[18].

Jean-Pierre Changeux, ci spiegano Boncinelli e Giorello nel loro saggio Spettatori attivi[19], individua nella frase citata alcuni nodi teorici di fondo della neuroestetica. I meccanismi dei neuroni specchio gettano luce sulle basi biologiche di quella ri-creazione che lega il fruitore all’opera d’arte. Changeux sottolinea l’attribuzione di possibili ‘stati mentali’ quali potrebbero essere credenze, desideri, intenzioni, a personaggi raffigurati nell’opera; ma tali processi non sarebbero particolarmente interessanti se non avvenisse una  preliminare condivisione sensomotorio-emotiva che costituisce la prima attribuzione di significato. Non abbiamo bisogno, continuano Eduardo Boncinelli e Giulio Giorello, di riconoscere un personaggio come tale, sapendo la sua storia, o di ricorrere ad una conoscenza di fondo per entrare in sintonia con un’opera d’arte. Essa ci cattura, ci affascina, ci coinvolge senza ulteriori motivazioni. Che il corpo altrui sia carne ed ossa oppure solo macchie di colore che ne suggeriscano la forma, acquista senso per noi in quanto suscita un repertorio condiviso di potenziali azioni ed emozioni. Senza questa base biologica comune, le immagini artistiche perderebbero quell’interesse che le rendono tali, e che ne definiscono il valore a livello culturale.


 Articolo tratto dalla mia tesi di laurea "Uno sguardo sul mondo" arte e neuroscienza
Accademia di Brera - Dipartimento di arti visive - marzo 2015


Note e bibliografia




[1] Il gruppo di neuroscienziati di Parma, guidato da Giacomo Rizzolatti e composto da Vittorio Gallese, Leonardo Fogassi e Luciano Fadiga,  ha realizzato esperimenti sull’uomo analoghi a quelli effettuati sulla scimmia (C. Cappelletto,  Neuroestetica L’arte del cervello, Roma-Bari, 2009, p. 126 e p. 129).
[2] Scrive Vittorio Gallese: Circa dieci anni fa, il nostro gruppo ha scoperto nel cervello della scimmia l’esistenza di una popolazione di neuroni premotori che si attivavano non solo quando la scimmia eseguiva azioni finalizzate con la mano (ad es. afferrare un oggetto), ma anche quando osservava la stessa azione eseguite da un altro individuo (uomo o scimmia che fosse), abbiamo denominato questi ‘neuroni mirror’. (Gallese, Neuroscienza delle relazioni sociali, Torino, 2003.) cit. in http://gabriellagiudici.it/paolo-virno-neuroni-mirror-negazione-linguistica-reciproco-riconoscimento/
[4] V. Gallese, Corpo e azione nell’esperienza estetica, Torino, 2010a, pp. 245-262.
[5]  A. von Hildebrand, Il problema della Forma nell’arte figurativa (1983),  a cura di  A. Pinotti, F. Scrivano, Aesthetica, Palermo, 2001, p. 104.
[6] V.S. Ramachandran , W. Hirstein, The science of art. A neurological theory of aesthetic experience, in “Journal of  Consciousness Studies”, vol. 6, 6-7, 1999, pp. 15-51, qui p. 17.
[7] M. Jeannerod, The representing brain: Neural correlates of motor intention and imagery, in “Behaviorl  Brain Sciences”, 17, 1997, pp. 187-245.
[8] Ar., Poet., 50 a16-17 e 48 b5-9, ed.it. Aristotele, Dell’arte poetica,  a cura di C. Gavallotti, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editori, Milano, 1974.
[9] C. Cappelletto, Neuroestetica L’arte del cervello, Roma-Bari, 2008, p. 137.
[10] J. Volkelt, Teoria dell’empatia estetica, (1905) in Estetica ed empatia, a cura di A. Pinotti, Guerini, Milano, 1997, pp. 229-260, qui pp. 247-248.
[11] B. Calvo-Merino, Glaer, Grèzes, Passingham, Haggard, Action Observation and acquired motor skills: An fMRI study with expert dancers, in “Cerebral Cortex”, 15, Agosto 2005, pp. 1243-1249, qui p. 1234.
[12] D. Freedberg,  Empatia, movimento ed emozione, (2007), in Immagini della mente. Neuroscienze, arte, filosofia, a cura di G. Lucignani, A. Pinotti, Cortina, Milano, 2007, pp. 13-67, qui p. 30.
[13] C. Cappelletto, op. cit., p. 145.
[14] D. Freedberg, V. Gallese, Movimento, emozione, empatia. I fenomeni che si producono a livello corporeo osservando le opere d’arte, in “Prometeo” , 103, 2008, pp. 52-59, già pubblicato con il titolo Motion, emotion and empathy in esthetic experience, in “Trends in Cognitive Sciences”, vol. 11, 5, 2007, pp. 197-203, da cui cito qui p. 199.
[15]  D. Freedberg, V. Gallese, Motion, emotion and empathy, cit., p. 202.
[16] V. Gallese, D. Freedberg, Mirror and canonical neurons are  crucial elements in esthetic response, in “Trends and Cognitive Sciences”, vol. 11, 10, 2007,  p. 411.
[17] C. Cappettetto, op. cit., p. 146.
[18] J. P. Changeux, (1994), Ragione e piacere, Milano, 1995, p. 104.
[19] E. Boncinelli e G. Giorello, p. 10, in Lucignani, G., e Pinotti, A., Immagini della Mente Neuroscienze, Arte, Filosofia, a cura di, Milano, 2007.


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