Cosa sono i neuroni specchio, e in quale modo intervengono nel processo di fruizione dell'opera d'arte?
L’artista, lo scienziato e l’uomo comune possiedono
questo meraviglioso strumento, che è il cervello, che ci permette di muoverci nel mondo, di porre
in essere le strategie necessarie per vivere e progredire, nonché di poter
fruire della bellezza naturale come di quella artistica.
Alla base di questa capacità troviamo i neuroni specchio, scoperti da un gruppo
di neuroscienziati dell’Università di Parma, che affiancati ai neuroni
cosiddetti canonici, ci permettono di
“sentire” ed esperire nel nostro profondo l’opera d’arte. Non si tratta però semplicemente
di capire l’arte, ma di rivivere su di sé il gesto dell’artista, riprovando e
ricostruendo, ciascuno a modo suo, l’emozione da lui provata, ripercorrendo gli
stessi gesti che mossero le mani dell’artista al momento della creazione
dell’opera d’arte.
La
creazione da parte dell’uomo dello spazio noi-centrico
- scoperto e definito da Vittorio
Gallese come un gruppo di neuroni che presiede alla formazione dell’Io
individuale - avviene attraverso
l’attività dei neuroni specchio.
Studi
compiuti mediante indagini di neuroimaging
hanno dimostrato la presenza di questa tipologia di neuroni, inizialmente
individuati attraverso ricerche condotte sulle scimmie, anche nell’ essere umano[1],
e la loro natura senso-motoria[2].
L’area
specchio del nostro cervello comprende l’area di Broca[3],
parti della corteccia premotoria e parti del lobo parietale inferiore, in cui i
neuroni visuo-motori si attivano sia
quando l’azione viene effettivamente compiuta dal soggetto, sia quando questa
stessa azione è solo osservata mentre è un altro a compierla. Ci sarebbero i
neuroni specchio anche all’origine della nostra risposta empatica di fronte
all’opera d’arte, dato che chi osserva recepisce da essa il gesto creativo di
chi l’ha prodotta. Scrive V. Gallese: “Insieme a David Freedberg ho ipotizzato
che, anche quando l’opera d’arte non ha alcun contenuto direttamente e
analogicamente mappabile in termini di azioni, emozioni o sensazioni, in quanto
priva di un riconoscibile contenuto formale (pensiamo a un’opera di Lucio
Fontana o Jackson Pollock), i gesti dell’artista nella produzione dell’opera
d’arte inducono il coinvolgimento empatico dell’osservatore, attivando in
modalità di simulazione il programma motorio che corrisponde al gesto evocato
nel tratto o segno artistico”[4].
Fig. - La gestualità in Jackson Pollock
Apollonio
di Tiana, nel I secolo a.c parlando di pittura con il suo discepolo Damis di
Ninive concluse che “la facoltà mimetica proviene all’uomo
dalla natura, la capacità pittorica dall’arte: e lo stesso si potrebbe dire
anche della scultura”. L’imitazione viene da Apollonio distinta dapprima
nell’ambito della natura attribuendo il riconoscimento della forma dei corpi
attraverso una specifica attività intellettuale, attraverso la quale l’uomo
individua le “forme concrete” indipendenti da qualsiasi regola di proiezione
geometrica che parta da corpi esistenti, la seconda artificiale o artistica
rimanda alla riproduzione dell’apparenza dei corpi attraverso l’arte visiva:
l’arte sarebbe dunque l’esito di una intuizione attraverso l’esercizio corporeo
(della mano) di una facoltà mimetica di natura intellettuale.
In che modo
quindi si coniugano l’occhio che osserva e la mano che dipinge la tela?
Adolf von Hildebrand scriveva nel 1893, che il bambino sviluppa la propria rappresentazione visiva dello spazio attraverso la mobilità di gambe e braccia e attraverso l’occhio il quale, pur incassato nella testa, è un “arto mobile”[5]. La mano è dunque associata all’occhio e ne è il naturale prolungamento. L’ipotesi che l’uomo operi ed agisca attraverso una vista che è “corporale” fu oggetto di studio da parte del gruppo di neuroscienziati di Parma, i quali, proprio in quell’occasione, giunsero a scoprire i neuroni specchio, la cui attività è alla base della cognizione, dell’intenzione, dell’azione e della rappresentazione oltre che alla base dell’interazione sociale.
Adolf von Hildebrand scriveva nel 1893, che il bambino sviluppa la propria rappresentazione visiva dello spazio attraverso la mobilità di gambe e braccia e attraverso l’occhio il quale, pur incassato nella testa, è un “arto mobile”[5]. La mano è dunque associata all’occhio e ne è il naturale prolungamento. L’ipotesi che l’uomo operi ed agisca attraverso una vista che è “corporale” fu oggetto di studio da parte del gruppo di neuroscienziati di Parma, i quali, proprio in quell’occasione, giunsero a scoprire i neuroni specchio, la cui attività è alla base della cognizione, dell’intenzione, dell’azione e della rappresentazione oltre che alla base dell’interazione sociale.
Nel
corso delle loro ricerche vennero individuati due tipi di neuroni: i neuroni canonici che si attivano durante
l’esecuzione di un’azione compiuta in prima persona e durante l’osservazione di
un oggetto che può partecipare a quella stessa azione; e i cosiddetti neuroni specchio che invece si attivano
sia quando il soggetto sta compiendo una certa azione e sia quando vede quella
stessa azione compiuta da un altro soggetto. I neuroni specchio si distinguono inoltre in “congruenti in senso stretto” per i quali l’azione eseguita e quella
osservata devono essere identiche, e “congruenti
in senso lato” per i quali le due azioni non devono essere identiche ma
devono avere uno scopo affine.
La
presenza nell’essere umano dei neuroni specchio porta alla conclusione che le
reazioni umane all’ambiente non dipendono in prima istanza dalla stimolazione
sensoriale esterna, ma si tratta piuttosto di forme di immaginazione attraverso
le quali il soggetto simula un’intenzione associata all’azione che sta
osservando. Fa “come se” fosse lui ad agire, ma la simulazione di azioni non è
l’imitazione meccanica del neonato, né un’imitazione consapevole, bensì una
rappresentazione mentale di programmi motori senza però la produzione di un
movimento effettivo.
L'ARTE E' UNO SCENARIO
Questa
scoperta si ritrova nella concezione del neurologo Vilayanur S. Ramachandran, anch’esso
studioso di neuroestetica, secondo il quale l’arte è uno scenario concreto in
cui simulare virtualmente azioni reali. Il neurologo indaga la produzione
artistica sulla base di quanto essa propone all’occhio di inusuale, innovativo
e sconosciuto, giungendo ad affermare che “gli artisti si valgono
coscientemente o incoscientemente di alcune regole o principi, che noi chiamiamo
leggi, per solleticare l’area visiva del cervello”[6].
Un elemento particolarmente importante per la neuroestetica riguarda il
carattere funzionale dei neuroni specchio. Una delle differenze riscontrate dai
ricercatori di Parma, sul sistema specchio, nella scimmia rispetto all’uomo, è
che nella prima il neurone specchio, scarica solo se l’animale prevede con
certezza che il movimento osservato è finalizzato ad un’azione; mentre
nell’uomo, lo stesso neurone scarica anche nel caso in cui egli osservi un’azione
mimata come ad esempio giocare a palla senza la palla, afferrare una tazza
senza la tazza, e senza che vi sia alcune verbalizzazione. Non scarica però nel
caso la stessa azione sia compiuta in modo virtuale, attraverso ad esempio un
disegno animato. Da ciò si evince che l’uomo reagisce di fronte ad azioni di
fatto ma anche a fronte di azioni ipoteticamente possibili. Marc Jeannerod fornisce
una spiegazione plausibile a questa attività simulatoria che risponde ad uno
scopo ma non è necessariamente finalizzata.
In The representing brain: neural
correlates of motion intention and imagery, il neuroscienziato ipotizza
l’esistenza di un’immagine di tipo motorio dell’atto osservato, funzionale alla
preparazione motoria, secondo un processo di apprendimento per imitazione[7].
Tale interpretazione corrisponde alla concezione della mimesi proposta da
Aristotele nella Poetica, secondo la quale l’imitazione è imitazione di azioni nonché
via d’accesso alla conoscenza[8].
IL CARATTERE IMITATIVO DEI NEURONI SPECCHIO
Giacomo
Rizzolatti e Corrado Sinigaglia, in So
quel che fai, il cervello che agisce e i neuroni specchio, ritengono che i neuroni specchio non siano
legati a comportamenti di carattere imitativo, ma alla comprensione di eventi
motori altrui e pertanto dell’altrui intenzione partendo da ciò che si sente dentro
di sé; non è un capire razionale e quindi un successivo partecipare alla gioia,
al dolore o altro, ma è un vero e proprio “sentire”; provare cioè davvero gioia
o davvero dolore; in sostanza esperire su di sé la medesima esperienza vissuta
dall’altro.
La
possibilità latente contenuta nell’azione osservata, è un principio estetico.
Così Chiara Cappelletti in Neuroestetica L’arte del cervello[9], parlando
della fruizione di un’opera teatrale, spiega come lo spettatore trasponga su di
sé ciò che vede mettere in scena. “Mi posso alzare o lasciarmi cadere, scuotere
il capo o stringere i pugni. Qui abbiamo davanti momenti eseguiti in modo
visibile. Ma finché si tratta di movimenti completamente
imitativi non si ha nulla a che fare con il terreno estetico. Invece è un caso
molto comune che il soggetto che contempla esteticamente prenda parte al
movimento visto per accenni. Così a
teatro lo spettatore può prender parte con un lieve accenno ad un severo
erigersi o a un danzare ritmico. Chi ha visto sul palcoscenico l’ottima attrice
Gutheil-Schroder nel ruolo di Carmen avrà fatto l’esperienza su sé stesso di
aver accompagnato alcuni dei suoi movimenti caratteristici con reali sensazioni
di movimento, di tensione ed estensione, che rievocano quei movimenti alludendo
alla loro traccia. […] Ma anche questo prender parte per accenni al movimento
visto non è necessario. In moltissimi casi ci si ferma al semplice
atteggiamento al movimento, alle semplici sensazioni di tensione senza alcuna
traccia percepibile di movimento”[10].
Questo
scritto, che rivela la puntualità con cui agli inizi del secolo Johannes
Volkelt esprime la sua acuta analisi di ciò che accade durante l’osservazione
di un’opera teatrale, trova conferma nelle più moderne analisi di neuroimaging svolte da Beatriz Calvo-Merino
e Ivar Hagendoorn, che attualmente,
insieme a Gallese, sono tra i maggiori
studiosi di neuroestetica teatrale. Il principio di rispecchiamento che
intercorre tra spettatore ed attore durante la rappresentazione teatrale è
stato quindi oggetto di indagine con imaging
al fine di evidenziare se, nel momento in cui osserviamo una certa azione
compiuta da altri, il nostro cervello simula la stessa azione. Calvo-Merino e
colleghi hanno registrato le reazioni cerebrali in soggetti cui venivano presentati
video di ballerini che eseguivano passi di capoeira; questi soggetti, alcuni
dei quali ballerini di danza classica, altri della stessa capoeira, altri
totalmente estranei all’ambiente della danza. Emerse che in coloro che erano danzatori
di capoeira i neuroni specchio si attivavano in misura notevolmente maggiore
rispetto alle altre due categorie. “Mentre tutti i soggetti del nostro studio vedevano le stesse azioni, le aree
specchio dei loro cervelli rispondevano con una certa differenza a seconda che
loro potessero o meno fare quelle azioni”[11].
Leggi anche : La seconda vista. L'artista come creatore di una realtà autonoma in competizione con la natura.
Leggi anche : La seconda vista. L'artista come creatore di una realtà autonoma in competizione con la natura.
LO SCHEMA CONOSCITIVO "COME SE"
A
differenza di altre scoperte neuroscientifiche, anche se altrettanto importanti
per gli studi di estetica, l’aver compreso l’esistenza dei neuroni specchio, ha
indotto a ripensare la concezione in merito al primo stadio della conoscenza;
il “come se” risulta essere uno schema conoscitivo incarnato.
David
Freedberg e Vittorio Gallese, storico dell’arte il primo e neuroscienziato il
secondo, svolgono un lavoro a quattro mani. Freedberg aveva già osservato nel
2004, parlando del lavoro di Robert Capa Morte
di un miliziano repubblicano, afferma “ci sembra di essere noi a cadere, in
disequilibrio e, ancor di più, provando invano a tenerci dritti […] I nostri
corpi le rispondono come se quel
corpo fosse in qualche modo il nostro. Per un istante siamo rimasti con una
lieve sensazione di ansia e disperazione. Il coinvolgimento fisico con
un’immagine come questa, l’empatia fisica, si traduce molto rapidamente in
emozione”[12].
Fig. - Robert Capa, Morte
di un miliziano repubblicano, 1936.
L’immagine
ha il potere di far ricordare, rianimare, attualizzare posture emotive
personali, e nell’ambito della fruizione estetica, così come afferma Volkelt,
lo fa per accenni sperimentando comportamenti possibili[13].
Freedberg e Gallese approfondendo l’analisi di questo tipo di risposta
estetica, concludono che l’attivazione dei meccanismi specchio sia cruciale per
la fruizione delle opere d’arte, e che
questi meccanismi si attivino non solo dinnanzi a opere figurative ma
anche astratte come ad esempio i dripping
di Pollock, attraverso i quali “gli spettatori fanno spesso esperienza di un
senso di coinvolgimento corporeo con i movimenti che sono implicati dalle
tracce fisiche delle azioni creative di chi ha prodotto il lavoro” così come pure
nel caso dei tagli di Fontana. Due sono a loro avviso le relazioni coinvolte nella fruizione di
un’opera pittorica: la prima “tra i sentimenti empatici incorporati
nell’osservatore e il contenuto rappresentativo dell’opera in termini di
azioni, intenzioni, oggetti, emozioni e sensazioni” e la seconda “tra i
sentimenti empatici incorporati nell’osservatore e la qualità dell’opera in
termini di tracce visibili dei gesti creativi dell’artista”[14].
IL GESTO DELL'ARTISTA RIVISSUTO DALL'OSSERVATORE
Il gesto motorio con cui l’artista ha realizzato la sua opera, è in grado di
sollecitare il sistema specchio del fruitore: i segni sulla tela o le impronte
sul materiale scultoreo “sono le tracce visibili di movimenti orientati allo
scopo; sono perciò capaci di attivare la rispettiva area motoria nel cervello
dell’osservatore”[15].
Dall’osservazione di Gallese e Freedberg appare quindi chiaro che è il gesto
motorio, compiuto dall’artista nel realizzare la sua opera, percepito
attraverso l’osservazione ad essere rivissuto dal fruitore, mediante
l’attivazione dei neuroni specchio. I due autori sottolineano però che
l’attivazione dei neuroni specchio, non è di per sé sufficiente ai fini della
valutazione delle opere d’arte, bensì che essa permette di comprendere “il
sostrato neuronale per le reazioni empatiche alle opere d’arte”[16].
Da
ciò si evince che non è possibile giudicare un’opera d’arte basandosi
esclusivamente sulla risposta neuronale dei neuroni specchio, escludendo invece
considerazioni di natura storico-culturale dell’arte – affermano Gallese e
Freedberg in aperta contrapposizione al pensiero di Arthur C. Danto[17]
– certo è però, che l’opera raggiunge il suo risultato se l’artista usa,
consapevolmente o meno, il segno del corpo per sollecitare le risposte
fruitive.
La concezione di Freedberg e Gallese può essere letta come
esplicativa per la comprensione della differenza tra astrazione e figurazione
non rispetto al grado di somiglianza iconografica e percettiva, ma come
stilizzazione di ciò che è un movimento virtuale figurato. Quando qualcuno
guarda un quadro “vi è una ri-creazione nel senso che lo spettatore non rimane
passivo davanti al dipinto, Quando incontra l’opera proietta su di essa il
proprio ‘stato interiore’, fissa la
sua attenzione prima su una parte del dipinto poi su un’altra, attribuisce a
una certa figura un significato, a un certo oggetto un valore simbolico, arriva
al punto di attribuire ‘stati mentali’, emozioni, intenzioni ai personaggi che
entrano nella composizione”[18].
Jean-Pierre
Changeux, ci spiegano Boncinelli e Giorello nel loro saggio Spettatori attivi[19], individua nella frase citata alcuni nodi teorici
di fondo della neuroestetica. I
meccanismi dei neuroni specchio gettano luce sulle basi biologiche di quella ri-creazione che lega il fruitore
all’opera d’arte. Changeux sottolinea l’attribuzione di possibili ‘stati
mentali’ quali potrebbero essere credenze, desideri, intenzioni, a personaggi
raffigurati nell’opera; ma tali processi non sarebbero particolarmente
interessanti se non avvenisse una
preliminare condivisione
sensomotorio-emotiva che costituisce la prima attribuzione di significato. Non
abbiamo bisogno, continuano Eduardo Boncinelli e Giulio Giorello, di
riconoscere un personaggio come tale, sapendo la sua storia, o di ricorrere ad
una conoscenza di fondo per entrare in sintonia con un’opera d’arte. Essa ci
cattura, ci affascina, ci coinvolge senza ulteriori motivazioni. Che il corpo
altrui sia carne ed ossa oppure solo macchie di colore che ne suggeriscano la
forma, acquista senso per noi in quanto suscita un repertorio condiviso di
potenziali azioni ed emozioni. Senza questa base biologica comune, le immagini
artistiche perderebbero quell’interesse che le rendono tali, e che ne
definiscono il valore a livello culturale.
Note e bibliografia
[1] Il
gruppo di neuroscienziati di Parma, guidato da Giacomo Rizzolatti e composto da
Vittorio Gallese, Leonardo Fogassi e Luciano Fadiga, ha realizzato esperimenti sull’uomo analoghi
a quelli effettuati sulla scimmia (C. Cappelletto, Neuroestetica
L’arte del cervello, Roma-Bari, 2009, p. 126 e p. 129).
[2]
Scrive Vittorio Gallese: Circa dieci anni fa, il
nostro gruppo ha scoperto nel cervello della scimmia l’esistenza di una popolazione di neuroni
premotori che si attivavano non solo quando la scimmia eseguiva azioni
finalizzate con la mano (ad es. afferrare un oggetto), ma anche quando osservava
la stessa azione eseguite da un altro individuo (uomo o scimmia
che fosse), abbiamo denominato questi ‘neuroni mirror’. (Gallese, Neuroscienza delle relazioni sociali,
Torino, 2003.) cit. in http://gabriellagiudici.it/paolo-virno-neuroni-mirror-negazione-linguistica-reciproco-riconoscimento/
[3] “L’area di Broca(pronuncia: brocà) è una partedell’emisfero dominante del cervello localizzata nel piede della terzacirconvoluzione frontale, la cui funzione è coinvolta nell’elaborazione del linguaggio.” Wikipedia,L’enciclopedia libera. 27 agosto 2014 23:05 UTC, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Area_di_Broca&oldid=67832228.
[4] V. Gallese, Corpo e azione nell’esperienza estetica,
Torino, 2010a, pp. 245-262.
[5] A. von Hildebrand, Il problema della Forma nell’arte figurativa (1983), a cura di
A. Pinotti, F. Scrivano, Aesthetica, Palermo, 2001, p. 104.
[6] V.S. Ramachandran , W.
Hirstein, The science of art. A neurological theory of aesthetic experience, in “Journal of Consciousness Studies”, vol. 6, 6-7, 1999, pp.
15-51, qui p. 17.
[7] M. Jeannerod, The representing brain: Neural correlates of motor intention and
imagery, in “Behaviorl Brain
Sciences”, 17, 1997, pp. 187-245.
[8] Ar.,
Poet., 50 a16-17 e 48 b5-9, ed.it. Aristotele, Dell’arte poetica, a cura di
C. Gavallotti, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editori, Milano,
1974.
[9] C.
Cappelletto, Neuroestetica L’arte del cervello, Roma-Bari, 2008, p.
137.
[10] J.
Volkelt, Teoria dell’empatia estetica,
(1905) in Estetica ed empatia, a cura
di A. Pinotti, Guerini, Milano, 1997, pp. 229-260, qui pp. 247-248.
[11] B. Calvo-Merino, Glaer,
Grèzes, Passingham, Haggard, Action
Observation and acquired motor skills: An fMRI study with expert dancers,
in “Cerebral Cortex”, 15, Agosto 2005, pp. 1243-1249, qui p. 1234.
[12] D.
Freedberg, Empatia, movimento ed emozione, (2007), in Immagini della mente. Neuroscienze, arte, filosofia, a cura di G.
Lucignani, A. Pinotti, Cortina, Milano, 2007, pp. 13-67, qui p. 30.
[13] C.
Cappelletto, op. cit., p. 145.
[14] D.
Freedberg, V. Gallese, Movimento,
emozione, empatia. I fenomeni che si
producono a livello corporeo osservando le opere d’arte, in “Prometeo” ,
103, 2008, pp. 52-59, già pubblicato con il titolo Motion, emotion and empathy in esthetic experience, in “Trends in
Cognitive Sciences”, vol. 11, 5, 2007, pp. 197-203, da cui cito qui p. 199.
[15]
D. Freedberg, V. Gallese, Motion,
emotion and empathy, cit., p. 202.
[16] V. Gallese, D. Freedberg, Mirror and canonical neurons are crucial elements in esthetic response, in
“Trends and Cognitive Sciences”, vol. 11, 10, 2007, p. 411.
[17] C.
Cappettetto, op. cit., p. 146.
[18] J.
P. Changeux, (1994), Ragione e piacere,
Milano, 1995, p. 104.
[19] E. Boncinelli
e G. Giorello, p. 10, in Lucignani, G., e Pinotti, A., Immagini della Mente Neuroscienze, Arte, Filosofia, a cura di, Milano,
2007.
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